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Effetto dazi, Ferrari alza i prezzi del 10%: la risposta a Trump

Ferrari è stata la prima a muoversi. Mentre molte Case automobilistiche stanno ancora decidendo come rispondere ai dazi “permanenti” del 25% firmati da Donald Trump, Maranello ha già tracciato la rotta. La risposta è netta: aumenti fino al 10% per alcuni modelli venduti negli Stati Uniti.

Chiarezza coi clienti

La notizia è arrivata con una comunicazione ufficiale ai mercati. Dopo giorni di attesa, l’azienda del Cavallino ha confermato l’intenzione di aggiornare la propria politica commerciale, per compensare i rincari causati dalle nuove tariffe doganali. E non si tratta solo di difesa del margine, ma anche di chiarezza verso i clienti: “Le nuove condizioni doganali si rifletteranno parzialmente sul prezzo, fino a un massimo del 10% di aumento, in coordinamento con la nostra rete di distribuzione”.

C’è però un dettaglio importante: chi ha già ordinato un’auto Ferrari prima del 2 aprile 2025 non subirà ritocchi verso l’alto. E vale anche per chi ha acquistato una 296, una SF90 o una Roma, a prescindere dalla data. Tutto il resto, invece, sarà soggetto alla strategia. Il Costruttore aveva già lasciato intendere nei giorni scorsi che sarebbe intervenuto in modo deciso. Ora è arrivata la conferma, insieme a un messaggio rassicurante per investitori e clienti: nonostante il cambio di scenario, gli obiettivi finanziari per il 2025 restano invariati. Anche se si ammette un “potenziale rischio di diluizione di 50 punti base” nei margini di redditività.

Mentre Maranello agisce, altre realtà adottano maggiore cautela. Alcuni parlano, altri restano in silenzio. Perfino Elon Musk, da sempre vicino a Trump, ha ammesso l’impatto delle nuove regole, definendo gli effetti dei dazi “significativi” e “non trascurabili” per la produzione delle Tesla. Molto più diretto l’attacco della Ineos Automotive, fondata dal miliardario britannico Jim Ratcliffe. L’azienda ha diffuso un comunicato durissimo: “I leader della Ue, nonostante i ‘chiari’ avvertimenti di Trump, hanno trascurato l’intera vicenda e non si sono seduti al tavolo per negoziare una soluzione migliore”. Il tono è netto, e la conclusione ancora di più: “La situazione avrebbe potuto e dovuto essere evitata”.

Parole forti anche da Lynn Calder, amministratrice delegata del marchio: “Questo è ciò che accade quando i politici stanno con le mani in mano. In quanto marchio automobilistico in crescita con sede nell’Unione Europea, siamo vulnerabili ai dazi e abbiamo bisogno che i nostri politici sostengano le nostre imprese, i nostri posti di lavoro e le nostre economie. Abbiamo bisogno di un intervento politico urgente e diretto”. E non si esclude nulla: “C’è un limite a ciò che possiamo fare per proteggere i clienti statunitensi dagli aumenti dei prezzi”.

I giganti tedeschi

Intanto, i giganti tedeschi osservano la situazione da vicino. Mercedes-Benz ha parlato chiaramente: servono “politiche che promuovano un commercio reciprocamente vantaggioso sui mercati internazionali”. Sulla stessa linea anche BMW, che lancia l’allarme su una possibile guerra commerciale “che non avrebbe alcun beneficio”.

Più prudente la posizione della Volvo, pronta a fare sapere di essere in piena analisi: “Seguiamo gli sviluppi in diversi mercati, tra cui gli Stati Uniti, rispettiamo le normative e paghiamo tutti i dazi richiesti su tutti i veicoli importati e su tutte le parti come richiesto dalla legge”. Ma per ora, “è troppo presto per fare ulteriori commenti”. E poi c’è Renault, la quale, nonostante negli Usa non sia ancora arrivata, guarda con interesse al futuro lancio dell’Alpine. Anche in questo caso, massima cautela: “Alpine sta tenendo d’occhio la situazione locale per poter valutare le possibilità e le condizioni per entrare in questo territorio”.

Chiude il quadro Stellantis, con il presidente John Elkann che ha fatto riferimento alla posizione dell’American Automotive Policy Council: l’associazione ha espresso preoccupazione per l’accessibilità dei prodotti made in America e per le ripercussioni che l’incertezza avrà sulla domanda negli Stati Uniti”. Il fronte è aperto, e le posizioni si stanno ancora consolidando. Ma una cosa è certa: Ferrari ha scelto di non aspettare.

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