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Trump e l’automotive, dazi, incentivi per motori termici e il rapporto con Musk

Le elezioni presidenziali americane del 5 novembre 2024 rappresentano un momento cruciale per l’industria automobilistica americana, un settore strategico per l’economia e l’occupazione del Paese. I due candidati, Donald Trump e Kamala Harris, presentano visioni e programmi differenti, con implicazioni potenzialmente significative per il futuro del settore. Vediamo qual è la visione del tycoon che concorre alla Casa Bianca per la terza volta.

Il peso dell’industria delle quattro ruote negli States

L’industria automobilistica ha storicamente rivestito un ruolo fondamentale nell’economia statunitense, sia dal punto di vista produttivo che occupazionale. La centralità dell’automobile nella società americana è evidente anche nella vita quotidiana dei cittadini, per i quali possedere una vettura è spesso indispensabile per garantire la propria mobilità, soprattutto nelle vaste aree rurali del Paese. Questa importanza strategica del settore automobilistico rende le elezioni presidenziali di quest’anno particolarmente significative per il futuro dell’industria.

Donald Trump, durante la sua campagna elettorale, si è dimostrato un convinto sostenitore dell’industria automobilistica nazionale, adottando una linea fortemente protezionistica. Trump ha proposto di imporre nuovi dazi doganali sulle auto importate da vari Paesi, con l’obiettivo di proteggere la produzione americana e i posti di lavoro. Questa politica, se da un lato mira a rafforzare l’industria nazionale, dall’altro rischia di innescare una guerra commerciale con conseguenze negative per i consumatori americani, che potrebbero affrontare un aumento dei prezzi delle automobili.

Un esempio emblematico della politica protezionistica di Trump è stata la sua minaccia nei confronti di Stellantis. Il candidato repubblicano ha dichiarato che imposterà dei dazi del 100% su Stellantis se sposterà la produzione dagli Stati Uniti al Messico. Oltre al protezionismo, Trump si è distinto per il suo sostegno ai motori a combustione interna, in contrasto con la crescente attenzione verso l’elettrificazione del settore. Durante il suo primo mandato, Trump ha eliminato numerose normative ambientali, dimostrando una scarsa sensibilità verso le tematiche ecologiche.

L’auto elettrica e il rapporto con Musk

La posizione di Trump sull’auto elettrica è complessa e contraddittoria. Da un lato, Trump sembra voler rallentare la transizione verso l’elettrico, preferendo puntare sui tradizionali motori a combustione. Dall’altro lato, il tycoon si trova ad affrontare la crescente influenza di Elon Musk, proprietario di Tesla e uno dei principali sostenitori delle EV. Musk, un imprenditore visionario e controverso, è al tempo stesso un alleato politico ma un ostacolo nell’attuazione delle promesse elettorali.

Nonostante le profonde differenze programmatiche, Trump e Harris sembrano concordare sulla necessità di proteggere l’industria americana dalla competizione cinese, soprattutto nel settore delle auto elettriche. Entrambi i candidati riconoscono la minaccia rappresentata dalla Cina, che si sta affermando come leader mondiale nella produzione di veicoli elettrici a basso costo. La principale divergenza tra i due candidati riguarda la modalità di applicazione dei dazi: Trump è favorevole a un approccio aggressivo e unilaterale, mentre Harris sembra propendere per una politica più moderata e concertata con gli alleati internazionali.

Tutela dei lavoratori e le critiche a Trump

Kamala Harris, candidata democratica, ha basato la sua campagna elettorale su temi come la tutela dei lavoratori e la difesa dei diritti sindacali, in netta contrapposizione con le politiche di Trump. Harris ha ricevuto il sostegno del potente sindacato dei metalmeccanici americani (UAW), che ha accusato Trump di favorire i miliardari e le grandi aziende a discapito dei lavoratori.

Shawn Fain, segretario della UAW, ha criticato duramente Trump per non aver sostenuto i lavoratori durante gli scioperi e per non aver fatto nulla per impedire la chiusura di fabbriche. Un esempio emblematico di questa critica è stata la vertenza sindacale con Stellantis, accusata di tagliare posti di lavoro e delocalizzare la produzione in Messico.

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